SI AVVICINA L’11 NOVEMBRE ..festa di San Martino
San Martino è celebre per essere il santo protettore dei vignaioli. Come recita un motto popolare:
Di San Martino ogni mosto diventa vino!
Secondo un’antica usanza l’11 novembre si spilla il vino nuovo dalle botti per festeggiare il raccolto e il rinnovo dei contratti agricoli.
MA...ANCHE…
San Martino, vescovo di Tours, è il santo protettore dei soldati, dei viaggiatori e dei vignaioli, ricordato per essere il primo santo non martire della Cristianità.
Nacque nel 316 o 317 a Sabaria, nella provincia romana della Pannomia, l’odierna Ungheria. Il padre, tribuno militare, gli dette il nome di Martino in onore di Marte, dio della guerra. Dopo pochi anni si spostarono in Ticinum (Pavia), dove crebbe e, successivamente, venne avviato alla carriera militare, nonostante le resistenze del ragazzo, più portato per la vita monastica che per l’uso delle armi.
Sin da fanciullo, infatti, si dedicò alle opere di Dio e a soli dodici anni avrebbe voluto ritirarsi in eremitaggio. Un editto imperiale, tuttavia, ordinò l’arruolamento dei figli dei veterani, e Martino, preso a viva forza, venne incatenato e obbligato al giuramento militare.
Come narra lo storico Sulpicio Severo, nel capitolo III della “Vita di San Martino”:
“Un giorno, nel mezzo di un inverno più rigido del solito, al punto che numerose persone morivano a motivo dei rigori del freddo, mentre non aveva addosso niente altro che le armi e il semplice mantello militare, sulla porta della città di Amiens, si imbatté in un povero nudo: l’infelice pregava i passanti di avere pietà di lui, ma tutti passavano oltre. Quell’uomo di Dio, vedendo che gli altri non erano mossi a compassione, comprese che quel povero gli era stato riservato. Ma che fare? Non aveva nient’altro se non la clamide, di cui era rivestito: infatti, aveva già sacrificato tutto il resto per una buona opera analoga. Allora, afferrata la spada che portava alla cintura, tagliò il mantello a metà, ne diede una parte al povero, e indossò nuovamente la parte rimanente. (…) Dunque la notte seguente, mentre dormiva, Martino vide il Cristo, rivestito della parte della sua clamide con cui aveva coperto il povero. Gli fu ordinato di guardare attentamente il Signore, e di riconoscere la veste che aveva dato. Poi, udì Gesù dire con voce chiara alla moltitudine degli angeli che gli stavano intorno: «Martino, che è ancora un catecumeno, mi ha coperto con questa veste».
S. Martino e il povero – Lucca
Così dopo aver aver adempiuto agli obblighi del suo tribunato, come gli imponeva il suo rigore morale, potè mettersi definitivamente al servizio di Dio. Fu ordinato diacono e infine prete, viaggiò a lungo predicando il cristianesimo, convertì i pagani in terre lontane finché un giorno si fermò in Francia, nei pressi di Poitiers, dove fondò un monastero. La sua popolarità crebbe di giorno in giorno sia per volontà popolare e sia perché potesse continuare con maggiore efficacia la propria opera di evangelizzazione, venne ordinato vescovo di Tours.
Dopo anni di frenetica attività il Santo si spense a Candes, una località francese nella confluenza tra la Vienne e la Loira: lungo questo fiume fu portato il suo corpo fino al cimitero di Tours, dove l’11 novembre ebbe sepoltura in un’umile tomba. Presto divenne meta di incessanti pellegrinaggi, come fosse San Pietro a Roma o Santiago di Compostella in Spagna, e al suo monastero giungevano in massa i fedeli per chiedere la guarigione di ogni tipo di malattia. Ora la sua tomba è nel Duomo di Tours
Ma, come spiega Alfredo Cattabiani, nel suo libro “Santi d’Italia”,(Rizzoli, Premio Estense 1993), san Martino divenne ancora più popolare per la collocazione della sua festa nel calendario che coincideva con la fine delle celebrazioni del Capodanno dei Celti , il “Samuin”, che cadevano proprio nei primi dieci giorni di novembre. Si banchettava e si trascorreva anche nell’ingorda letizia delle tavole colme di ogni ben di Dio. Perciò, tuttora, la figura del Santo è sinonimo di abbondanza: “Ce sta lu sante Martino”, dicono ad esempio in Abruzzo quando in una casa non mancano le provviste.
Samahin
Quella festa pagana era ancora viva nell’VIII secolo e siccome Martino fu fin dal primo medioevo il santo più popolare d’Occidente, la Chiesa pensò bene di cristianizzare i festeggiamenti celtici trasferendo molte delle sue usanze nella festività del celebre vescovo di Tours.
Perciò la festa di San Martino divenne in gran parte dell’Europa una specie di capodanno: in Italia, fino al secolo scorso, l’11 novembre cominciavano le attività dei tribunali, delle scuole e dei parlamenti; si tenevano elezioni e in alcune zone scadevano i contratti agricoli e di affitto.
Tuttora in molti luoghi si dice “far San Martino” all’atto di traslocare o sgomberare, perché era proprio in questo periodo che si cambiava tradizionalmente casa: praticamente tutti i cambiamenti si facevano per San Martino. Ed era anche il momento in cui si ammazzava il maiale,
Anche per i bambini era festa grande perché il santo, come la Befana oggi, portava loro regalini scendendo dalla cappa del camino e , se avevano fatto capricci depositava una frusta ammonitrice, detta in Francia “Martin baton” o “martinet”, usanza tipica dei periodi di capodanno o di rinnovamento temporale. Ippolito di Cavalcanti, duca di Buonvicino, scriveva nel 1847 a proposito della festa del santo a Napoli:
“Cheste è chella bella Jornata di San Martino c’a Napole, e me credo pe tutto lo Munno, se fa na grosa festa; e grazia de chesta sollennità, a dove echiù, a dove meno, se fa lo grande pranzo...”.
Il giorno di San Martino, anche tempo di baldoria, favorita dal vino “vecchio” che proprio in questi giorni occorre finire per pulire le botti e lasciarle pronte per la nuova annata: in Romagna affermano infatti che “Par Sa’ Marten u s’imbariega grend e znèn”, cioè “per San Martino s’ubriaca il grande e il piccino”. Oppure : “Per San Martino si spilla il botticino” – “Per San Martino cadon le foglie e si spilla il vino”. Ma in questi giorni scorre a fiumi anche il vino novello: è risaputo infatti che “Per San Martino ogni mosto è vino”.
Con il vino gli abitanti delle terre che una volta era la “Gallia Cisalpina” – zona della vallePadana- consigliano di mangiare le castagne e l’oca: “Per San Martino castagne, oca e vino!”. Un’usanza, quella di mangiare l’oca, da rispettare per avere fortuna, come ci ricordano i Veneti:
“Chi no magna l’oca a San Martin nol fa el beco de un quatrin!”.
S.Martino, mangiare l’oca e gioco dell’oca
Ma perché l’oca viene mangiata per la Festa di San Martino?
La tradizione si ispirerebbe a una leggenda medievale sulla vita del santo. Era l’anno 371 quando san Martino venne eletto per acclamazione vescovo di Tours in Francia, lui però si nascose in campagna perché preferiva continuare a vivere come semplice monaco. Ma le strida di un stormo di oche rivelò agli inseguitori il nascondiglio del santo, che dovette accettare e diventare il grande vescovo che è stato.
Un’altra interpretazione, afferma invece che siccome le oche selvatiche migrano verso sud all’approssimarsi dell’inverno, ai primi di novembre è facile cacciarle e dopo, naturalmente, cucinarle. Forse perciò “Oca e vino tieni tutto per San Martino”.
In ogni modo la scelta del grasso volatile come cibo tipico della festa di San Martino non è casuale perché dietro la popolare usanza gastronomica si nascondono antiche credenze religiose che deriverebbero dalle celebrazioni del “Samuin” Celtico: l’oca di san Martino sarebbe dunque una discendente di quelle oche sacre ai Celti, simboli del Messaggero divino, che accompagnavano le anime dei defunti nell’aldilà. L’oca, che è un animale intelligentissimo , simboleggiava addirittura la dea Grande Madre dell’universo e dei viventi. E un’eco di questa credenza è rimasta in un gioco di origine celtica, il “Gioco dell’Oca”, che ha al suo centro, come meta finale, proprio quest’animale.
Infinite poi sono le favole europee ispirate all’oca sorte in terre che una volta furono dei Celti: la “Vecchia delle oche” di Grimm, i “Racconti di mia madre l’oca” attribuiti a Perrault, oppureial mito della fata Melusina che curiosamente aveva i piedi a forma di zampa d’oca che nessun mortale poteva vedere.
Insomma, un’eco lontana di queste credenze potrebbe essere la consuetudine, esistente tuttora in molti Paesi dove la religione celtica era più radicata, di mangiare l’oca proprio in questi giorni, a partire dal giorno di Ognissanti, come ci rammentano alcuni versi Seicenteschi di Alessandro Tassoni:
E il giorno di Ognissanti al dì nascente
ognun partì de la campagna rasa
e tornò lieto a mangiar l’oca a casa.
In Boemia, non solo si mangia l’oca per San Martino, ma se ne traggono le previsioni per l’inverno: se le ossa spolpate sono bianche, l’inverno sarà breve e mite; se scure è segno di pioggia, neve e freddo. Gli svizzeri la mangiano l’11 novembre ripiena di fette finissime di mele; mentre in Germania la si riempie di artemisia profumata, mele, marroni glassati col miele, uva passita e le stesse interiora dell’animale: i tedeschi affermano che l’oca migliore deve provenire dalla Polonia o dall’Ungheria, fra l’altro la patria di san Martino che, come già detto, era nato nell’antica Pannonia.
In Italia i pranzi a base d’oca nei giorni di San Martino, sono tipici soprattutto del nord, Friuli, Veneto, Lombardia e Romagna. Come accade in diversi locali dove per la “Cena di San Martino” viene servito un intero menù a base d’oca. Mentre in provincia di Pavia, a Mortara, detta “la città dell’oca” c’è persino un salame d’oca detto anche “salame ecumenico”, perché d’origine ebraica, prodotto con il metodo Koscher.
Fiera dell’oca
Ma la ricetta della pianura padana più diffusa per San Martino, simile nella preparazione alla “casoeuola” a base di maiale della Lombardia, è il “bottaggio”: nell’oca così cucinata la freschezza della verza attenua l’intensità del suo sapore un po’ dolciastro.
Invece nella cucina tradizionale romana non vi sono ricette per cucinare l’oca, forse per ancestrale riconoscenza dei Romani verso questi volatili, simbolo di fedeltà e vigilanza. D’altronde le oche che sorvegliavano il tempio della dea Giunone al Campidoglio riuscirono a salvare il colle dall’invasione dei Galli nel 390 a.C. dando l’allarme con le loro strida!
Oltre alle molte usanze legate alla festività di San Martino, si devono ricordare i molti proverbi meteorologici connessi anche ai lavori in campagna:“Se il dì di San Martino il sole va in bisacca, vendi il pane e tienti la vacca;se il sole va invece giù sereno, vendi la vacca perché è poco il fieno”. Ossia: se all’ora del tramonto dell’11 novembre ci sono delle nuvole che coprono il sole, si può sperare in un buon raccolto di fieno e di grano e ci sarà pane da vendere e una vacca grassa; ma se tramonta in un bel cielo sereno non ci sarà fieno abbastanza per gli animali e sarebbe meglio venderli.
Almeno così si faceva una volta, quando ancora l’alimentazione era naturale!