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….capolavori dell’arte e patologie

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Silvia Mazza  di Finestre sull’arte  

ci indica:” Se l’arte è anche catarsi della sofferenza, conforto dell’anima oltre che diletto per gli occhi, in questo nostro tempo di malattia e morte siamo andati in cerca di esempi di opere d’arte in cui la patologia, sublimata, ha cessato di coniugarsi con il dolore. La malattia diventa elemento che partecipa di un esito squisitamente armonico, e perciò classicamente “bello”, finendo per stabilire anche un canone estetico, come vedremo per la Venere di Botticelli. Nell’esercizio di dialogo tra saperi e competenze diverse, abbiamo così sottoposto alcune opere, celebri e meno note, alla “diagnosi” di un medico con la passione per l’arte….”

In questo particolare momento si è iniziato un “esperimento” di interdisciplinarietà, medici-storici dell’arte, con  risultati interessanti ( come Gian Carlo Mancini, L’arte nella medicina e la medicina nell’arte, Roma, 2008),  il Centro Studi GISED, associazione senza fini di lucro nel settore dermatologico, riconosciuta dalla Regione Lombardia, ha realizzato una galleria virtuale di malattie della pelle documentate nelle opere d’arte,  diventata  mostra itinerante (“Arte e Pelle”). Ad esempio nel  Ritratto della Famiglia di Carlo IV (1800-1801) sulla tempia di Maria Giuseppina di Borbone, infanta di Spagna, zia del re Carlo IV, Goya evidenziò  una lesione pigmentata dovuta probabilmente ad un melanoma, un tumore cutaneo pericoloso se non diagnosticato precocemente.

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Studio di melanoma

o una cheilite angolare o boccheruola, una infiammazione della bocca, al lato destro delle labbra nel ritratto La vecchia (1506) di Giorgione (Castelfranco Veneto, 1478 – Venezia, 1510)

giorgione

La vecchia

oppure le cicatrici  nel Ritratto di Sir Richard Southwell /1536) di Hans Holbein il giovane (Augusta, 1497 o 1498 – Londra, 7 ottobre 1543)  dovute a una forma di tubercolosi cutanea detta anche scrofuloderma

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Richard_Southwell

Diversi sono gli studi che considerano l’arte come disciplina utile per il miglioramento di competenze alla base della professione medica, come quello condotto dalla Sapienza di Roma nel 2016 (“Arte e Medicina: dalla visione alla diagnosi”, a cura di Vincenza Ferrara). Tra i capitoli ce n’è uno dedicato alla iconodiagnostica.

Arte e medicina

saggio

In iconodiagnostica ci aggiorna ancora  Silvia Mazza, “si  sono cimentati vari medici. Come Vito Franco, docente di Anatomia patologica presso la facoltà di “Medicina e Chirurgia” dell’Università di Palermo, che ha “visitato” un centinaio di opere diagnosticando diverse malattie ai personaggi raffigurati. Dall’aracnodattilia, di cui sarebbe affetta la Madonna della rosa (1530) di Girolamo Francesco Maria Mazzola, detto il Parmigianino (Parma, 1503 – Casalmaggiore, 1540), per le dita sproporzionatamente sottili ed allungate rispetto al palmo della mano, come le zampe di un ragno,

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Particolare 

o ipercolesterolemia della Gioconda (1503-1504) di Leonardo da Vinci (Vinci, 1452 – Amboise, 1519) desunta dall’accumulo di grasso sotto l’occhio sinistro

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Gioconda

INFINE…la giornalista  è andata  col dottor Raffa alla ricerca della patologia anche quando non è l’oggetto dichiarato dell’opera d’arte, cogliendola e diagnosticandola attraverso un dettaglio..  accertare la manifestazione di una malattia, come fatta dalla iconodiagnostica sull’opera dei maestri del Rinascimento, come la Fornarina (1518 – 1519) di Raffaello, in cui sarebbe rappresentato un tumore alla mammella. Raffaella Bianucci, con i colleghi dell’Università di Torino, ha pubblicato su “The Lancet Oncology” una ricerca su alcune opere per seguire la manifestazione di tale malattia, come La notte

la notte

Ghirlandaio

(1555-1565) di Michele di Ridolfo del Ghirlandaio (Firenze, 1503 – 1577), trasposizione in pittura dell’analoga figura scolpita da Michelangelo per la tomba di Giuliano de’ Medici, duca di Nemours (1524-1534), nella Sagrestia Nuova di San Lorenzo a Firenze, e L’allegoria della Fortezza (1560-1562) di Maso di San Friano (Firenze, 1531 – 1571)attivo per quasi mezzo secolo, “sono almeno tre i dipinti in cui egli avrebbe rappresentato un cancro al seno: Le tre Grazie, Orfeo ed Euridice e Diana e le sue ninfe”.

In fondo medici e pittori condividono lo stesso patrono, san Luca.

 

 

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San Martino, uno di quegli uomini …di cui ancora si parla…

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SI AVVICINA L’11 NOVEMBRE ..festa di San Martino

SAN MARTINO

San Martino è celebre per essere il santo protettore dei vignaioli. Come recita un motto popolare:

Di San Martino ogni mosto diventa vino!

Secondo un’antica usanza l’11 novembre si spilla il vino nuovo dalle botti per festeggiare il raccolto e il rinnovo dei contratti agricoli.

Vino nuovo

MA...ANCHE…

San Martino, vescovo di Tours, è il santo protettore dei soldati, dei viaggiatori e dei vignaioli,  ricordato per essere il primo santo non martire della Cristianità.
Nacque nel 316 o 317 a Sabaria, nella provincia romana della Pannomia, l’odierna Ungheria. Il padre, tribuno militare, gli dette  il nome di Martino in onore di Marte, dio della guerra. Dopo pochi anni si spostarono in Ticinum (Pavia), dove crebbe e, successivamente, venne avviato alla carriera militare, nonostante le resistenze del ragazzo, più portato per la vita monastica che per l’uso delle armi.
Sin da fanciullo, infatti, si dedicò alle opere di Dio e a soli dodici anni avrebbe voluto ritirarsi in eremitaggio. Un editto imperiale, tuttavia, ordinò l’arruolamento dei figli dei veterani, e Martino, preso a viva forza, venne incatenato e obbligato al giuramento militare.
Come narra lo storico Sulpicio Severo, nel capitolo III della “Vita di San Martino”:

Un giorno, nel mezzo di un inverno più rigido del solito, al punto che numerose persone morivano a motivo dei rigori del freddo, mentre non aveva addosso niente altro che le armi e il semplice mantello militare, sulla porta della città di Amiens, si imbatté in un povero nudo: l’infelice pregava i passanti di avere pietà di lui, ma tutti passavano oltre. Quell’uomo di Dio, vedendo che gli altri non erano mossi a compassione, comprese che quel povero gli era stato riservato. Ma che fare? Non aveva nient’altro se non la clamide, di cui era rivestito: infatti, aveva già sacrificato tutto il resto per una buona opera analoga. Allora, afferrata la spada che portava alla cintura, tagliò il mantello a metà, ne diede una parte al povero, e indossò nuovamente la parte rimanente. (…) Dunque la notte seguente, mentre dormiva, Martino vide il Cristo, rivestito della parte della sua clamide con cui aveva coperto il povero. Gli fu ordinato di guardare attentamente il Signore, e di riconoscere la veste che aveva dato. Poi, udì Gesù dire con voce chiara alla moltitudine degli angeli che gli stavano intorno: «Martino, che è ancora un catecumeno, mi ha coperto con questa veste».

S. Martino e il povero - Lucca

S. Martino e il povero – Lucca

Così dopo aver aver adempiuto agli obblighi del suo tribunato, come gli imponeva il suo rigore morale, potè mettersi definitivamente al servizio di Dio. Fu  ordinato diacono e infine prete, viaggiò a lungo predicando il cristianesimo, convertì i pagani in terre lontane finché un giorno si fermò in Francia, nei pressi di Poitiers, dove fondò un monastero. La sua popolarità crebbe di giorno in giorno sia per volontà popolare e sia  perché potesse continuare con maggiore efficacia la propria opera di evangelizzazione,   venne ordinato vescovo di Tours.
Dopo anni di frenetica attività il Santo si spense a Candes, una località francese nella confluenza tra la Vienne e la Loira: lungo questo fiume  fu portato il suo corpo fino al cimitero di Tours, dove l’11 novembre ebbe sepoltura in un’umile tomba.  Presto divenne meta di incessanti pellegrinaggi, come fosse San Pietro a Roma o Santiago di Compostella in Spagna, e al suo monastero giungevano in massa  i fedeli per chiedere la guarigione di ogni tipo di malattia. Ora la sua tomba è nel Duomo di Tours

Ma, come spiega Alfredo Cattabiani, nel suo  libro “Santi d’Italia”,(Rizzoli, Premio Estense 1993), san Martino divenne ancora più popolare per la collocazione della sua festa nel calendario che coincideva con la fine delle celebrazioni del Capodanno dei Celti , il “Samuin,   che cadevano proprio nei primi dieci giorni di novembre. Si banchettava  e si  trascorreva anche nell’ingorda letizia delle tavole colme di ogni ben di Dio. Perciò, tuttora, la figura del Santo è sinonimo di abbondanza: “Ce sta lu sante Martino”, dicono ad esempio in Abruzzo quando in una casa non mancano le provviste.

Samahin

Samahin

Quella festa pagana era ancora viva nell’VIII secolo e siccome Martino fu fin dal primo medioevo il santo più popolare d’Occidente, la Chiesa pensò bene di cristianizzare i festeggiamenti celtici trasferendo molte delle sue usanze nella festività del celebre vescovo di Tours.
Perciò la festa di San Martino divenne in gran parte dell’Europa una specie  di capodanno: in Italia, fino al secolo scorso, l’11 novembre cominciavano le attività dei tribunali, delle scuole e dei parlamenti; si tenevano elezioni e in alcune zone scadevano i contratti agricoli e di affitto.
Tuttora in molti luoghi si dice far San Martino” all’atto di traslocare o sgomberare, perché era proprio in questo periodo che si cambiava tradizionalmente casa: praticamente tutti i cambiamenti si facevano per San Martino. Ed era anche il momento in cui si ammazzava il maiale,

S.  MARTINO - TRADIZIONE: SI AMMAZZA IL MAIALEAnche per i bambini era festa grande  perché il santo, come la Befana oggi, portava loro regalini scendendo dalla cappa del camino e , se avevano fatto capricci depositava una frusta ammonitrice,  detta in Francia “Martin baton” o  “martinet”, usanza  tipica dei periodi  di capodanno o di rinnovamento  temporale. Ippolito di Cavalcanti, duca di Buonvicino, scriveva nel 1847 a proposito della festa del santo a Napoli:

“Cheste è chella bella Jornata di San Martino c’a Napole, e me credo pe tutto lo Munno, se fa na grosa festa; e grazia de chesta sollennità, a dove echiù, a dove meno, se fa lo grande pranzo...”.

Il giorno di San Martino,  anche tempo di baldoria, favorita dal vino “vecchio” che proprio in questi giorni occorre finire per pulire le botti e lasciarle pronte per la nuova annata: in Romagna affermano infatti chePar Sa’ Marten u s’imbariega grend e znèn, cioè “per San Martino s’ubriaca il grande e il piccino”. Oppure : “Per San Martino si spilla il botticino” –  “Per San Martino cadon le foglie e si spilla il vino”. Ma in questi giorni scorre a fiumi anche il vino novello: è risaputo  infatti che  “Per San Martino ogni mosto è vino”. 
Con il vino gli abitanti delle terre che una volta era la “Gallia Cisalpina” – zona della vallePadana-   consigliano di mangiare le castagne e l’oca: “Per San Martino castagne, oca e vino!”. Un’usanza, quella di mangiare l’oca, da rispettare per avere fortuna, come ci ricordano i Veneti:

“Chi no magna l’oca a San Martin nol fa el beco de un quatrin!”.

S.Martino, mangiare l'oca  e gioco dell'oca

S.Martino, mangiare l’oca e gioco dell’oca

Ma perché l’oca viene mangiata per la Festa di San Martino? 

La tradizione si ispirerebbe a una leggenda medievale sulla vita del santo.  Era l’anno 371 quando san Martino venne eletto per acclamazione vescovo di Tours in Francia, lui però si nascose in campagna perché preferiva continuare a vivere come semplice monaco. Ma le strida di un stormo di oche rivelò agli inseguitori il nascondiglio del santo, che dovette accettare e diventare il grande vescovo che è stato.
Un’altra interpretazione,  afferma invece che siccome le oche selvatiche migrano verso sud all’approssimarsi dell’inverno, ai primi di novembre è facile cacciarle e dopo, naturalmente, cucinarle. Forse perciò  “Oca e vino tieni tutto per San Martino”.
In ogni modo la scelta del grasso volatile come cibo tipico della festa di San Martino non è casuale perché dietro la popolare usanza gastronomica si nascondono antiche credenze religiose che deriverebbero dalle celebrazioni del “Samuin” Celtico: l’oca di san Martino sarebbe dunque una discendente di quelle oche sacre ai Celti, simboli del Messaggero divino, che accompagnavano le anime dei defunti nell’aldilà.  L’oca, che è un animale intelligentissimo , simboleggiava addirittura la dea Grande Madre dell’universo e dei viventi. E un’eco di questa credenza è rimasta in un gioco di origine celtica,  il “Gioco dell’Oca”, che ha al suo centro, come meta finale, proprio quest’animale. 
 Infinite poi sono le  favole europee  ispirate all’oca sorte in terre che una volta furono dei Celti: la “Vecchia delle oche” di Grimm, i “Racconti di mia madre l’oca” attribuiti a Perrault,  oppureial mito della fata Melusina che curiosamente  aveva i piedi  a forma di zampa d’oca che nessun mortale poteva vedere.
Insomma, un’eco lontana di queste  credenze potrebbe essere la consuetudine, esistente tuttora  in molti Paesi dove la religione celtica era più radicata, di mangiare l’oca proprio in questi giorni, a partire dal giorno di Ognissanti, come ci rammentano alcuni versi Seicenteschi di Alessandro  Tassoni:

E il giorno di Ognissanti al dì nascente
ognun partì de la campagna rasa
e tornò lieto a mangiar l’oca a casa.

foglia autunno gif animata

In Boemia, non solo si mangia l’oca per San Martino, ma se ne traggono le  previsioni per l’inverno: se le ossa spolpate  sono bianche, l’inverno sarà breve e mite; se scure è segno di pioggia, neve e freddo. Gli svizzeri la mangiano l’11 novembre ripiena di fette finissime di mele; mentre in Germania la si riempie di artemisia profumata, mele, marroni glassati col miele, uva passita e le stesse interiora dell’animale: i tedeschi affermano  che l’oca migliore deve provenire dalla Polonia o dall’Ungheria, fra l’altro la patria di san Martino che, come già detto,  era nato nell’antica Pannonia.
In Italia i pranzi a base d’oca nei giorni di San Martino, sono tipici soprattutto del nord, Friuli, Veneto, Lombardia e Romagna. Come accade in diversi locali dove  per la “Cena di San Martino” viene servito un intero menù a base d’oca. Mentre in provincia di Pavia, a Mortara, detta “la città dell’oca” c’è persino un salame d’oca detto anche “salame ecumenico”, perché d’origine ebraica, prodotto con il metodo Koscher.

Fiera dell'oca

Fiera dell’oca

Ma la ricetta della pianura padana più diffusa per San Martino, simile nella preparazione alla “casoeuola” a base di maiale della Lombardia, è il bottaggio”: nell’oca così cucinata la freschezza  della verza attenua l’intensità del suo sapore un po’  dolciastro.
Invece nella cucina tradizionale romana non vi sono ricette per cucinare l’oca, forse per ancestrale riconoscenza dei Romani verso questi volatili, simbolo di fedeltà e vigilanza. D’altronde le oche che sorvegliavano il tempio della dea Giunone al Campidoglio riuscirono a salvare il colle dall’invasione dei Galli nel 390 a.C. dando l’allarme con le loro strida! 
Oltre alle molte usanze legate alla festività di San Martino, si devono ricordare   i molti proverbi meteorologici connessi anche ai lavori in campagna:“Se il dì di San Martino il sole va in bisacca, vendi il pane e tienti la vacca;se il sole va invece giù sereno, vendi la vacca perché è poco il fieno”. Ossia: se all’ora del tramonto dell’11 novembre ci sono delle nuvole che coprono il sole, si può sperare in un buon raccolto di fieno e di grano e ci sarà pane da vendere e una vacca grassa; ma se tramonta in un bel cielo sereno non ci sarà fieno abbastanza per gli animali e sarebbe meglio venderli.

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Almeno così si faceva una volta, quando ancora l’alimentazione era naturale!

Hemingway’ s Tour …un particolare viaggio

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Hemingway’ s Tour   …

Egli nacque il 21 luglio 1899 ad Oak Park, Illinois, e rappresenta un classico personaggio “da Rete”: infatti sono circa Cinquanta milioni le pagine che risultano se fate una ricerca, sui principali motori Internet, con la chiave “Ernest Hemingway”.

Emingway pescatore

Hemingway pescatore

Oak Illinois

Oak –  Illinois

Vincitore di premio Nobel (nel ’54), maestro di letteratura contemporanea per la sua prosa asciutta, reporter “in trincea” dei principali eventi della prima metà del 1900 (i due conflitti mondiali, la guerra civile spagnola, l’invasione giappponese della Manciuria, la guerra turco-greca del ’22). Ma senza meno uomo avventuroso, esponente della “lost generation” della Parigi anni ’20, pescatore nelle acque della Florida o al largo delle Antille, amante della caccia grossa e dei safari in Africa, cantore dell’epica suggestiva ma discutibile,  delle corride. In sostanza  una personalità complessa, ma con forti impulsi di morte: Hemingway, si tolse la vita il 2 luglio del ’61, nella sua residenza nel tranquillo stato dell’Idaho.
Una fine improvvisa la sua , che  ha reso lo scrittore  un personaggio affascinante, perfino al di là dei meriti letterari. E che dunque  ha fatto  sorgere, anche sulla Rete, un vero e proprio culto

Hemingway in poltrona

Hemingway – Parigi

Di Biografie ce ne sono centinaia, praticamente ogni sito a lui dedicato ne contiene una; una delle più complete e leggibili è Ernest Hemingway: a Storyteller’s

“The little lad weighed 9 lbs., had thick black hair, dark blue eyes, black eyebrows, Mahogany colored complexion, a dimple in each cheek, Grandpa Ernest Hall’s nose and mouth, like a cupid’s bow, Hands and nails just like Grandpa Ernest’s. Plump and perfect in form with a deep toned voice,” wrote Grace Hall Hemingway of her second child’s birth in the first of five lavishly annotated scrapbooks of photographs, newspaper clippings, and letters she made.”

Ampia la panoramica dei luoghi-simbolo, una guida generale, molto precisa e facile da consultare, sui posti legati, in modo o nell’altro, alla vita e all’opera di Hemingway,è ad esempio  Tracing the Literary Travels of Ernest Hemingway.

Documento identità

Documento identità

La celebrità dei posti hemingwayani è passata anche attraverso le numerose trasposizioni cinematografiche dei suoi libri. QUI I RIFERIMENTI. In Illinois la casa dove nacque, ad Oak Park, è divenuta  sede della The Ernest Hemingway Foundation of Oak Park

The BirthHouse

The BirthHouse

Un’intera sezione è dedicata alle varie   celebrazioni e poi  si accede anche alla  mostra di foto dello scrittore.

Un viaggio tra le colline dell’ Idaho, nella casa dove  HEMINGWAY si tolse la vita. Nella storia di Ernest Hemingway ritorna  con insistenza il  nome di Ketchum.  una minuscola città mineraria , centro di caccia, che Hemingway ha visitato la prima volta nel 1939 facendo la sua  fortuna e scegliendola come residenza finale quando, nel 1959, ha lasciato per sempre Cuba; fino  al punto che a Ketchum è stato sepolto. A Ketchum arrivava  da Cuba/Key West in macchina, due giorni e due notti di viaggio su un’ automobile carica di bagagli, guidata da amici che si contendevano per mesi questo privilegio. Da Hailey, dove è nato Ezra Pound, si arriva in macchina a Ketchum e alla Sun Valley, dove Hemingway ha passato mesi felici con amanti e mogli e figli e amici, e dove ha passato settimane terribili ad assistere alla propria fine.

Hemingway House- Ketchum

Hemingway House- Ketchum

Ora eccoci  in Florida  luogo preferito da  Hemingway,   Key West Tour,  la Florida del grande scrittore. Per l’ufficialità, visitiamo il sito “istituzionale”  Ernest Hemingway home, Key West. INTERESSANTE INSERIRSI NEL SITO incentrato su tutti gli artisti celebri che hanno legato la propria fama a questo LUSSUREGGIANTE angolo di Florida:  Authors of Key West.

Kay West- Hemingway house 1933

Kay West- Hemingway house –  1933

Non può mancare una puntatina a Kansas City che nella carriera giornalistica dello scrittore, rappresenta un punto fermo come reporter, al “Kansas City Star”…

He was an American voice in America’s century: bold, exuberant, blustery. He honed his craft at The Kansas City Star. Then he went on to war, to Europe and to become literature’s self-made man. He was not always easy to take. Forget perfection, he told a fellow writer. Characters are not symbols. “Keep them people, people, people.” In other words, all humans are flawed. And redeemable.Four decades after his death, and near the turn of another century,Hemingway’s simple code still rings loud and true.
–Steve Paul, senior writer and editor

Hemingway  - Scultura

Hemingway – Scultura

Hemingway giornalista - Earl Theisen Archives Courtesy John F. Kennedy Library

Hemingway giornalista – Earl Theisen Archives Courtesy John F. Kennedy Library

Raggiungiamo il  Michigan,  Walloon Lake, vicino alla cittadina di Petoskey, dove  Hemingway trascorse le sue prime 19 estati. In questa località vi sono state  celebrazioni  per il centenario, organizzate dalla Hemingway Michigan Society  ed in questi giorni si svolge    MHS 2014 Fall Conference – October 17-19, 2014 – Petoskey, Michigan  

Scritti di Hemingway

Scritti di Hemingway

… il suo cottage...

Windemere is a one-story, frame structure that was built as a summer cottage by Ernest Hemingway’s father in 1904. The cottage is nestled among hardwood trees on the shore of the nearby lake. Once located in a remote area of Resort Township, the cottage is now among large, year-round houses.Ernest Hemingway spent most of his summers until age 21 at Windemere, his family’s cottage on Walloon Lake. It was here he first developed his interest in outdoor activities like hunting and fishing, which played an important role in his fiction. Hemingway’s time in northern Michigan inspired many of his short stories, including “The Three Day Blow,” “The End of Something,” and “The Big Two-Hearted River.”

Hemingway - Cottage

Hemingway – Cottage

Ora immaginiamo Ernest Hemingway a Parigi

Upon returning to the US, Hemingway settled in Chicago, after a brief stay back in Oak Park. In September 1921, Hemingway married Hadley Richardson. Later that year he took a job with the Toronto Daily Star as their European correspondent. Hemingway and his bride soon relocated to Paris, to a primitive apartment with no running water, with a rented room nearby where Hemingway could work in peace.

Ernest Hemingway, Paris, circa 1924. Photograph in the Ernest Hemingway Photograph Collection, John Fitzgerald Kennedy Library, Boston.

Ernest Hemingway, Paris, circa 1924. Photograph in the Ernest Hemingway Photograph Collection, John Fitzgerald Kennedy Library, Boston.

 I SUOI LUOGHI …IN PARIS

Marché Mouffetard

This ‘wonderful, narrow crowded market street’ (rue Mouffetard), as Hemingway described it in ‘A Moveable Feas

 Hotel d’AngleterreSaint-Germain-des-Prés

In December 1921 Ernest Hemingway and Hadley spent their first night in Paris at Hôtel d’Angleterre, in room 14 (it was called Hôtel Jacob at the time)

 Jardin du LuxembourgSt Germain des Prés
 

When Hemingway was struggling for money, he often took refuge amid the landscaped parterres of the Jardin du Luxembourg, where ‘you saw and smelled nothing to eat from the place de l’Observatoire to the rue de Vaugirard.

 
Shakespeare & Company – Latin Quarter and south Paris
 

In Hemingway’s time, rickety old Shakespeare & Company was at 11 rue Odéon (a plaque marks the spot today). It was here that the author famously broke a vase when one of his books received a bad review, and that Henry Miller borrowed books he would never return.

 Bouquinistes– Latin Quarter and south Paris – Le long des quais de Seine – Quai de Montebello et quai Saint-Michel – 5e  Paris

 Hemingway spent many an hour rifling though these iconic second hand bookstalls, dotted along the Seine in dark green paint.

SUL WEB VI E’ UNA TIME-LINE DEDICATA ALLO SCRITTORE .What Ernest Hemingway did… and why you should care

HEMINGWAY LES DEUX MAGOTS

COME NON CITARE IL CAFFE’ DOVE Hemingway  si sedeva?  Boulevard Saint-Germaine sull’angolo con la piazza Jean-Paul Sartre et Simone de Beauvoir, uno dei salotti buoni di Parigi, dove turisti e indigeni si mescolano per lavorare, guardare, fare acquisti e, naturalmente sedere alla terrasse di uno dei più celebri caffè della città. Il nome Les Deux Magots trae origine dall’insegna di un negozio di mode che occupava un tempo lo stesso angolo, due figurine cinesi che ancora si possono vedere nella sala principale del caffè.
Verso il 1885 il negozio di mode leva le tende lasciando insegna  e locali a una rivendita di liquori con annesso caffè, nella quale Verlaine, Rimbaud, Mallarmè, e altri famosi personaggi, prenderanno presto l’abitudine di incontrarsi. Da allora, il caffè Les Deux Magots ha sempre giocato un ruolo importante nella vita culturale di Parigi. Il premio letterario dei Deux Magots, istituito nel 1933, ne sancirà definitivamente la vocazione culturale. Altro

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                         UNA CURIOSITA’ TUTTA ROMANA

Non tutti sanno che c’è un’invenzione tutta romana per farci sopportare il caldo delle giornate estive: la grattachecca.
Nata all’inizio del 1900  la grattachecca deve il suo nome all’azione di “grattare la checca”, tipica lastra di ghiaccio che all’epoca veniva usata per conservare gli alimenti ( anche a casa mia sia a Roma che a Todi arrivava un garzone che, coperto da un sacco di juta, depositava nelle ghiacciaie – piccoli armadietti di legno coibentati- una colonna di ghiaccio…bei tempi!!!).
Da allora i chioschi che la preparano sono diventati punti di refrigerio e di incontro serale per romani e turisti.
Ai gusti  classici di menta, orzata, limone, arancia e latte di mandorla si possono aggiungere  quelli con  pezzi di frutta tropicale  – cocco e cedro -o quelli della tradizione romana come tamarindo, amarena e  limone.
 Ce n’è per tutti i gusti, dunque, basta cercare gli storici chioschi per Roma soprattutto  quello di Trastevere,  davanti all’Isola Tiberina.

© #DonneInArte

di Alessandra Coscino

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Teatrino Foresto

"Anche nei tempi bui si canterà? Anche si canterà. Dei tempi bui" B. Brecht

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L’arte della vita sta nell’imparare a soffrire e nell’imparare a sorridere. H. Hesse

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