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….capolavori dell’arte e patologie

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Silvia Mazza  di Finestre sull’arte  

ci indica:” Se l’arte è anche catarsi della sofferenza, conforto dell’anima oltre che diletto per gli occhi, in questo nostro tempo di malattia e morte siamo andati in cerca di esempi di opere d’arte in cui la patologia, sublimata, ha cessato di coniugarsi con il dolore. La malattia diventa elemento che partecipa di un esito squisitamente armonico, e perciò classicamente “bello”, finendo per stabilire anche un canone estetico, come vedremo per la Venere di Botticelli. Nell’esercizio di dialogo tra saperi e competenze diverse, abbiamo così sottoposto alcune opere, celebri e meno note, alla “diagnosi” di un medico con la passione per l’arte….”

In questo particolare momento si è iniziato un “esperimento” di interdisciplinarietà, medici-storici dell’arte, con  risultati interessanti ( come Gian Carlo Mancini, L’arte nella medicina e la medicina nell’arte, Roma, 2008),  il Centro Studi GISED, associazione senza fini di lucro nel settore dermatologico, riconosciuta dalla Regione Lombardia, ha realizzato una galleria virtuale di malattie della pelle documentate nelle opere d’arte,  diventata  mostra itinerante (“Arte e Pelle”). Ad esempio nel  Ritratto della Famiglia di Carlo IV (1800-1801) sulla tempia di Maria Giuseppina di Borbone, infanta di Spagna, zia del re Carlo IV, Goya evidenziò  una lesione pigmentata dovuta probabilmente ad un melanoma, un tumore cutaneo pericoloso se non diagnosticato precocemente.

goya maria_giuseppina_di_borbone

Studio di melanoma

o una cheilite angolare o boccheruola, una infiammazione della bocca, al lato destro delle labbra nel ritratto La vecchia (1506) di Giorgione (Castelfranco Veneto, 1478 – Venezia, 1510)

giorgione

La vecchia

oppure le cicatrici  nel Ritratto di Sir Richard Southwell /1536) di Hans Holbein il giovane (Augusta, 1497 o 1498 – Londra, 7 ottobre 1543)  dovute a una forma di tubercolosi cutanea detta anche scrofuloderma

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Richard_Southwell

Diversi sono gli studi che considerano l’arte come disciplina utile per il miglioramento di competenze alla base della professione medica, come quello condotto dalla Sapienza di Roma nel 2016 (“Arte e Medicina: dalla visione alla diagnosi”, a cura di Vincenza Ferrara). Tra i capitoli ce n’è uno dedicato alla iconodiagnostica.

Arte e medicina

saggio

In iconodiagnostica ci aggiorna ancora  Silvia Mazza, “si  sono cimentati vari medici. Come Vito Franco, docente di Anatomia patologica presso la facoltà di “Medicina e Chirurgia” dell’Università di Palermo, che ha “visitato” un centinaio di opere diagnosticando diverse malattie ai personaggi raffigurati. Dall’aracnodattilia, di cui sarebbe affetta la Madonna della rosa (1530) di Girolamo Francesco Maria Mazzola, detto il Parmigianino (Parma, 1503 – Casalmaggiore, 1540), per le dita sproporzionatamente sottili ed allungate rispetto al palmo della mano, come le zampe di un ragno,

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Particolare 

o ipercolesterolemia della Gioconda (1503-1504) di Leonardo da Vinci (Vinci, 1452 – Amboise, 1519) desunta dall’accumulo di grasso sotto l’occhio sinistro

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Gioconda

INFINE…la giornalista  è andata  col dottor Raffa alla ricerca della patologia anche quando non è l’oggetto dichiarato dell’opera d’arte, cogliendola e diagnosticandola attraverso un dettaglio..  accertare la manifestazione di una malattia, come fatta dalla iconodiagnostica sull’opera dei maestri del Rinascimento, come la Fornarina (1518 – 1519) di Raffaello, in cui sarebbe rappresentato un tumore alla mammella. Raffaella Bianucci, con i colleghi dell’Università di Torino, ha pubblicato su “The Lancet Oncology” una ricerca su alcune opere per seguire la manifestazione di tale malattia, come La notte

la notte

Ghirlandaio

(1555-1565) di Michele di Ridolfo del Ghirlandaio (Firenze, 1503 – 1577), trasposizione in pittura dell’analoga figura scolpita da Michelangelo per la tomba di Giuliano de’ Medici, duca di Nemours (1524-1534), nella Sagrestia Nuova di San Lorenzo a Firenze, e L’allegoria della Fortezza (1560-1562) di Maso di San Friano (Firenze, 1531 – 1571)attivo per quasi mezzo secolo, “sono almeno tre i dipinti in cui egli avrebbe rappresentato un cancro al seno: Le tre Grazie, Orfeo ed Euridice e Diana e le sue ninfe”.

In fondo medici e pittori condividono lo stesso patrono, san Luca.

 

 

Qualcosa di particolare…il giardino incantato a Giverny…in mostra a Roma.

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Giuseppe Fantasia Giornalista ci introduce nel giardino incantato di Monet…

“Dopo una vita passata a scoprire luoghi e a conoscere persone in giro per il mondo, a poco più di quarant’anni, Claude Monet (1840-1926), decise di trasferirsi in Normandia, nel villaggio di Giverny. All’epoca, quello che poi diventò il suo celebre giardino – ancora oggi uno dei più visitati e sede del museo/fondazione che porta il suo nome – era soltanto un’idea, ma che ben presto, grazie alla cura, alla passione e alla pazienza, riuscì a trasformare in realtà. Dieci anni dopo, deviando l’acqua del fiume Epte, si fece costruire anche il famoso laghetto delle ninfee, prendendo come spunto i motivi delle stampe giapponesi, all’epoca molto diffuse a Parigi e da lui molto amate perché capaci di dare la giusta importanza ai colori e alla luce. Quel grande spazio pieno di ninfee e di altre piante acquatiche, di alberi e di fiori, quel posto magico con il suggestivo ponte sospeso tra due chiostre di salici, non rappresentò soltanto l’espressione di un elemento biografico, ma assieme all’ambiente circostante, divenne il suo personale laboratorio pittorico en plein air. C’erano anche grandi spazi all’interno di quell’elegante villa color rosa pastello con le persiane verdi, ma Monet, tempo e salute permettendo, amava stare all’aperto per dipingere a stretto contatto con la natura, un po’ come tutti i suoi colleghi Impressionisti di cui è stato ed è uno dei simboli indiscussi.”

 

La mostra di Monet a Roma racconta tutta l’opera del padre dell’Impressionismo

Monet mostra Roma

di  Simona Denise Deiana

“….excursus completo delle opere e della carriera dell’artista: dai primissimi lavori, alle celebri caricature della fine degli anni Cinquanta dell’Ottocento, attraverso i paesaggi rurali e urbani di Londra, Parigi, Vétheuil, Pourville, ai ritratti dei figli, alle tele dedicate agli amatissimi fiori del suo giardino (rose, glicini, agapanti) fino alla inquietante modernità dei salici piangenti, del viale delle rose e del ponticello giapponese, per arrivare alle monumentali Ninfee e Glicini. Sono tutte opere che il maestro aveva scelto di tenere nella sua casa atelier, risalenti a ogni suo periodo e per questo in grado di rendere conto delle molteplici  sfaccettature del suo lavoro, restituendo la sua ricchezza artistica. Molte delle tele in mostra rappresentano proprio i giardini della casa di Giverny che Monet amava e curava personalmente. Quelli stessi giardini che il pittore considerava, così come la natura, il suo studio oltre che la sua ispirazione.”

“Monet ha trasformato la pittura en plein air in rituale di vita e – tra la luce assoluta e la pioggia fitta, tra le minime variazioni atmosferiche e l’impero del sole – riuscì a tramutare i colori in tocchi purissimi di energia, riuscendo nelle sue tele a dissolvere l’unità razionale della natura in un flusso indistinto, effimero eppure abbagliante.”

 

Gli straordinari paesaggi impressionisti di Monet

da Dominella Trunfio

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La mostra, molto ricca, è curata da Marianne Mathieu che vuole celebrare uno dei massimi esponenti dell’Impressionismo francese in tutte le sue sfaccettature.Dai primissimi lavori, le celebri caricature della fine degli anni 50 dell’800, attraverso i paesaggi rurali e urbani di Londra, Parigi, Vétheuil, Pourville, ai ritratti dei figli, alle tele dedicate ai fiori del suo giardino come rose e glicini, fino alla inquietante modernità dei salici piangenti, del viale delle rose o del ponticello giapponese, per arrivare alle monumentali ninfee e glicini.

 

© #DonneInArte

di Alessandra Coscino

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